02 Sep NON TAM VANA COEGIT GLORIA QUAM ROME VETEREM RENOVARE DECOREM.
Sant’Urbano alla Caffarella, la Casa dei Crescenzi e il Mille a Roma.
La chiesa di S. Urbano alla Caffarella è un vero e proprio tempio antico mantenutosi nella sua integrità grazie alla sua trasformazione in chiesa e alla sua collocazione periferica e discreta, lontana dagli sguardi iconoclasti che in varie epoche depauperarono prima la civiltà classica e poi alcune forme di culto cristiano.
L’edificio conserva un ciclo pittorico che costituisce una rarissima testimonianza dell’arte romana degli inizi dell’XI secolo, ovvero il periodo crescenziano in cui le famiglie romane, approfittando dei complessi e altalenanti rapporti tra la dinastia sassone degli Ottoniani e le chiese romana e bizantina, tentarono di ricavare per Roma una certa autonomia, riportando in auge le vestigia del periodo classico.
Esempio, per certi versi speculare a S. Urbano, è la casa dei Crescenzi, in parte sopravvissuta alle ristrutturazioni di epoca fascista che demolirono l’area del Foro Boario in cui oggi sorge l’anagrafe (di fatto è l’edificio residenziale più antico in città). Nella sua facciata si possono notare infatti l’inserimento di mensole, trabeazioni, cornici e di un lacunare (utilizzato come balaustra della finestra in facciata), tutti di origine classica. Se da una parte si convertivano ad usi contemporanei antichi templi, di cui si conservava il più possibile, dall’altra si ornavano le abitazioni con recuperi dell’arte classica, per dare lustro a famiglie che rivendicavano l’autonomia della città, come testimonia l’iscrizione sulla facciata: “Non tam vana coegit gloria quam Rome veterem renovare decorem” (non costruì questa casa per la vanagloria ma per rinnovare l’antico decoro di Roma). Gli Ottoniani, in nome della Renovatio Imperii che sanciva il ri-accentramento del potere imperiale e della nuova alleanza con il papato, repressero poi nel sangue le velleità dei nobili locali.
Il tempio fu edificato dopo il 150 d.C. da Erode attico, console di origini ateniesi, letterato, amante delle belle arti, che sposò la nobile romana Annia Regilla. Costruito in onore di quest’ultima dopo la sua morte, è un tempio consacrato a Cerere e Faustina, la defunta moglie dell’imperatore Antonino Pio divinizzata. I temi della decorazione sembrano rispondere all’intenzione di far accedere anche Annia Regilla (nella scia di Faustina) tra gli dèi, un privilegio riservato in realtà soltanto alla famiglia imperiale. Nell’Alto Medioevo il tempio di Cerere e Faustina fu adattato a chiesa e consacrato al culto di S. Urbano, che visse in questi luoghi e fu martirizzato durante le persecuzioni avvenute sotto Marco Aurelio.
All’inizio dell’XI secolo la chiesa subì un rinnovamento generale. La vecchia architettura e gli stucchi rimasero immutati ma le pareti furono ricoperte di pitture che un’iscrizione data al 1011.
Già abbandonata nel corso del Basso Medioevo, essa fu dimenticata e lasciata di nuovo in preda alla rovina. Nel 1320, l’anonimo autore del Catalogo di Torino annota: “Ecclesia S. Urbani, non habet servitorem”.
Nel 1634 l’edificio fu nuovamente restaurato, e con l’occasione si eresse il campaniletto, si rifece l’altare (che era stato profanato) e furono pesantemente restaurate le pitture altomedioevali, di cui per fortuna restano due serie di copie in acquarello, volute dal cardinale Francesco Barberini, nella Biblioteca Apostolica Vaticana. La pittura della cripta invece non sembra aver subìto interventi posteriori.
L’interno della chiesa aveva in origine tutte le quattro pareti coperte di pitture e vi si distinguevano due grandi ripiani. Quello inferiore, di cui si conservano oggi solo frammenti, era coperto probabilmente da una serie di santi dipinti frontalmente, secondo lo stile bizantino; invece quello superiore presenta tuttora trentaquattro pannelli così suddivisi: venti con scene del Nuovo Testamento, quattro ispirati al martirio di S. Lorenzo e di altri martiri, dieci rappresentanti la storia dei SS. Urbano e Cecilia.
Questi ultimi ebbero qui raffigurata per la prima volta la loro vita quasi per intero: gli affreschi del portico di S. Cecilia in Trastevere sono probabilmente posteriori di circa mezzo secolo. Prima della Caffarella, le rappresentazioni dei due santi erano sempre state limitate ai loro ritratti (Catacombe di S. Callisto e mosaico in S. Cecilia in Trastevere). Non è quindi da escludere che l’iconografia di questi due santi sia stata inventata proprio alla Caffarella, sebbene eventuali precedenti collocati nell’area cittadina potrebbero essere andati distrutti.