Piazza di Spagna
I viaggiatori che, a partire dal 1500 e soprattutto dal '600 tornarono ad affollare Roma, entrati in città da Porta del Popolo si dividevano in due categorie: i pellegrini desiderosi di arrivare al più presto a San Pietro che
Piazza di Spagna, Roma, Piazza Mignanelli
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Piazza di Spagna

trinita_dei_monti 13.27.17I viaggiatori che, a partire dal 1500 e soprattutto dal ‘600 tornarono ad affollare Roma, entrati in città da Porta del Popolo si dividevano in due categorie: i pellegrini desiderosi di arrivare al più presto a San Pietro che imboccavano via di Ripetta per raggiungere il ponte degli Angeli e attraversare il Tevere, e i viveur mondani ed eleganti, tra i quali spiccavano scrittori e artisti, che percorrevano via Margutta alla ricerca di locande, alberghi, affittacamere, caffè e osterie. Trovata una sistemazione, per questi ultimi il punto di ritrovo per eccellenza diventava la vasta area che si apriva tra la via Margutta e il Rione Colonna, spartita dalle due potenze europee: Spagna (il rinascimentale Palazzo di Spagna, residenza degli ambasciatori che, restaurato nel 1635 da Antonio del Grande, dominava l’attuale piazza Mignanelli) e Francia (la chiesa della Trinità dei Monti, che si ergeva in cima alla scarpata che successivamente lasciò il posto alla famosa scalinata, inaugurata nel 1725).

E in effetti in quell’epoca si usava chiamare piazza di Spagna l’attuale piazza Mignanelli, mentre la parte sottostante al clivio del monte Pincio, dove “Pietro Bernini, con bel capriccio, fece la fonte in forma di Barca, con Imprese del Papa” (Pietro era il padre di Gianlorenzo, che pure contribuì all’opera), era la piazza della Trinità, detta anche piazza di Francia.

La_Fornarina_di_Raffaello_Sanzio

La Fornarina.

 L’area era meta quotidiana di stranieri, fioraie, prostitute (che abitavano le vie limitrofe), artisti e bellezze veraci in cerca di casting, in gran parte provenienti dalla Ciociaria e dai Castelli (in voga soprattutto nel ‘700/’800 tra pittori e scultori), venditori di cicorie, e di una figura al tempo piuttosto diffusa: l’abatino o abate galante, come si usava dire, alla francese.

Un’umanità piena di storie, come quella dell’alluvione del 1566, quando i barcaioli che vennero in soccorso degli abitanti del Rione, di fronte alle prostitute di via Borgognona che cercavano di mettere in salvo i loro averi, scelsero di affogarle per rubare loro i risparmi, o come le storie delle tante modelle che sbarcavano ancora bambine a Roma con tutta la famiglia, che non di rado riuscivano a far assumere nel ruolo di modelli anche padri, figli e mariti, altrimenti occupati a girare in città suonando le zampogne e chiedendo l’elemosina.

Alla categoria degli abati galanti appartenne, ancora giovanissimo, Giacomo Casanova, che dimorò, presso il cardinale ambasciatore, proprio nel Palazzo di Spagna. L’abate (o meglio abbè) era, prima che il Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII e Paolo VI sistemasse la faccenda, un chierico appartenente ai cosiddetti Ordini minori (per esempio ostiari, accoliti, lettori ed esorcisti), ovvero laici che in cambio del celibato e di un lavoro al servizio della chiesa, come ad esempio il maestro di scuola, il segretario personale di qualche porporato, lo scrittore, l’infermiere o il precettore, ottenevano benefici e pensioni.

Casanova

Giacomo Casanova.

A costoro era permesso di vestire con il collarino bianco e la mantella (“I cittadini che non son preti non sanno resistere alla tentazione di vestir da preti”, è scritto nel diario settecentesco Quadro attuale della città di Roma), ma non di rado questi scapoloni adulatori e manierosi si facevano confezionare la tonaca in foggia attillata, con la mantellina di seta e una parrucca ben acconciata sul capo. Del resto fare il chierico, l’abate, era uno dei pochi mezzi a disposizione di giovani brillanti come il Casanova per mettersi in luce ed entrare nei salotti giusti nonostante le umili origini.
L’intrigo di cui fu accusato, ovvero il tentativo fallito di favorire il matrimonio previa fuga d’amore di una giovane amica rimasta incinta e del suo amante non gradito alla famiglia, costò a Giacomo il posto di lavoro e lo costrinse a una frettolosa dipartita da Roma, con l’obiettivo di vestire l’altrettanto rispettabile divisa militare.

L’esigenza di rendere più “moderna” e monumentale la città, togliendo di mezzo con l’occasione un luogo selvatico che facilitava incontri equivoci in un’area così frequentata, fornì al cardinale Mazzarino (anche lui, durante la sua giovinezza a Roma, fu chierico e segretario del rampollo dei Colonna, Girolamo) il pretesto per mostrare la magnanima potenza della Francia e del Re Sole, di cui il cardinale fu praticamente il tutore.
Ma il progetto, al quale sembra abbia partecipato anche il Bernini, con l’idea di erigere al centro di una scalinata piena di allegorie una statua equestre raffigurante Luigi IV a mo’ del Marco Aurelio capitolino, non piacque al papa e, c’è da immaginare, agli spagnoli.

Si attese quindi un altro mezzo secolo prima che papa Innocenzo XIII e i francesi si accordassero per una più sobria scalinata, ornata più discretamente con i gigli simbolo della monarchia francese e con le aquile simbolo della casata del papa. La scalinata, dodici rampe e 128 gradini realizzati da Francesco de Santis, fu inaugurata nell’anno giubilare del 1725 e conobbe subito una fama internazionale, accrescendone la funzione di luogo d’incontro, anche equivoco. Tanto che, come si scrisse in un’estate, poco più di dieci anni dopo la messa in opera, “Si era introdotto un abuso, ora che la gente per il caldo si gira per la città di notte, che in Piazza di Spagna e sopra il monte Pincio si facevano balli con suoni tra uomini e donne, non conoscendosi l’un l’altro, il che venuto a far notizia del cardinal vicario, vi ha mandato i suoi esecutori ed è stato tolto l’abuso“.