Damiano Michieletto debutta all’Opera di Roma con ‘Il Trittico’ di Puccini
Domenica 17 aprile, alle 19.30, la “prima” de Il Trittico di Puccini segna il debutto assoluto all’Opera di Roma di Damiano Michieletto
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Damiano Michieletto debutta all’Opera di Roma con ‘Il Trittico’ di Puccini

12028900_1355830651099477_5883828289185793785_oDomenica 17 aprile, alle 19.30, la “prima” de Il Trittico di Puccini segna il debutto assoluto all’Opera di Roma di Damiano Michieletto, regista italiano tra i più acclamati della scena internazionale. Sul podio il direttore Daniele Rustioni, che torna a Roma dopo aver diretto La bohème a Caracalla nel 2014.

Arriva sul palcoscenico del Costanzi un allestimento dalla grande forza visiva che ha già conquistato il pubblico europeo di Vienna e Copenaghen, con la sua attenzione agli aspetti più umani delle vicende e dei personaggi pucciniani. “Ho cercato di dare ai tre atti unici di Puccini un impianto unitario – spiega il regista – Ho cercato anche di indagarne il lato più notturno e cupo, per far risaltare la violenza e il cinismo delle tre vicende”. “L’idea è di legare queste tre storie – racconta – pur mantenendo la loro diversità, trovando un filo rosso all’interno delle tre drammaturgie. Ed è la genitorialità. Per me è importante far emergere l’umanità dei personaggi”.

Rappresentato in prima assoluta il 14 dicembre del 1918 al Metropolitan di New York, Il Trittico fu apprezzato inizialmente soprattutto per Gianni Schicchi – mentre Puccini preferiva Suor Angelica ­– ma comunque trovò nel complesso un’accoglienza positiva. Oggi l’orientamento della critica è decisamente diverso e le tre opere sono entrate a pieno titolo nel repertorio dei teatri lirici. Alla cupezza e alla violenza a carattere verista de Il tabarro, fa seguito il racconto edificante sulla redenzione religiosa di Suor Angelica, per chiudere con Gianni Schicchi, l’opera più famosa, farsa di avidità e connivenze. Ne Il tabarro, ambientato in riva alla Senna tra scaricatori e popolane, l’intensità drammatica e compositiva supplisce all’assenza intenzionale di melodie che colpiscano immediatamente l’orecchio. Molto diversa è Suor Angelica – incentrata sulla penitenza monastica – per la quale Puccini ricorse all’aiuto del frate domenicano Pietro Panichelli, suo amico (che già lo aveva supportato per le sonorità religiose in Tosca), per l’uso nella vita claustrale di termini latini. Di ambientazione fiorentina medioevale è, invece, Gianni Schicchi – che proprio per l’immediato successo iniziò ben presto ad avere vita autonoma –, tutta giocata sull’ingegno e la furbizia del suo protagonista, sulla sua capacità di ricavare il massimo profitto da ogni situazione, ottenendo così notorietà a Firenze.

TEATRO DELL’OPERA DI ROMA – Teatro Costanzi

th2K1SPZIE1 min (110 m)

Piazza Beniamino Gigli, 7
+39 06 4817003

Il Trittico
Il tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi

Musica di Giacomo Puccini
Direttore Daniele Rustioni
Regia Damiano Michieletto

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera

Allestimento del Det Kongelige Teater di Copenhagen e del Theater an der Wien

Con sovratitoli in italiano e inglese

17 aprile – ore 19:30
19 aprile – ore 19:30
20 aprile – ore 19:30
21 aprile – ore 19:30
22 aprile – ore 19:30
23 aprile – ore 18:00
24 aprile – ore 16:30

16 aprile – ore 19:00 “vietato ai minori i 26 anni” anteprima giovani

sito web ufficiale
biglietteria on-line

Il tabarro
Opera in un atto
Libretto di Giuseppe Adami
tratto dal dramma La Houppelande di Didier Gold

È il tramonto. Sulla Senna è ancorato un vecchio barcone da carico, di cui è padrone il maturo Michele; questi, che ha sposato Giorgetta, una parigina molto più giovane di lui, avverte che l’unione sta vacillando e sospetta che la moglie, sempre più insofferente e scontrosa, lo tradisca con un altro uomo. Il sospetto è fondato: Giorgetta è innamorata di Luigi, un giovane scaricatore che ogni sera, richiamato dal tenue chiarore di un fiammifero acceso, la raggiunge protetto dall’oscurità.

Michele, che vede crollare poco a poco le proprie illusioni, tenta di risvegliare nell’animo della moglie la passione di un tempo ricordandole quel bimbo la cui breve esistenza aveva accompagnato il loro amore: erano i giorni felici in cui Giorgetta e il figlio cercavano rifugio nel suo tabarro. Ma quando egli tenta di stringerla fra le braccia, la moglie si ritrae con un pretesto. Quindi si ritira nella sua stanza in attesa che il marito la segua e si assopisca, per poi incontrarsi con Luigi.

Michele indugia, riflettendo su chi possa essere l’amante della moglie e meditando vendetta, quindi accende la pipa. Attirato dal segnale luminoso, Luigi balza sul barcone credendo di trovarci l’amante; ma Michele gli è sopra, l’immobilizza e con un urlo lo riconosce; poi lo afferra per la gola, lo costringe a confessare il suo amore e lo strangola. Quindi ne avvolge il corpo esanime dentro al suo tabarro. Giorgetta torna in coperta, come colta da uno strano presentimento, ma quando si avvicina a Michele, questi apre il tabarro lasciando cadere a terra il cadavere di Luigi.

il trittico

“Il tabarro”, foto Mikols Szabo

Suor Angelica
Opera in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano

L’azione si svolge verso la fine del XVII secolo, tra le mura di un monastero nei dintorni di Siena.

Da sette anni Suor Angelica, di famiglia aristocratica, ha forzatamente abbracciato la vita monastica per scontare un peccato d’amore. Durante questo lungo periodo non ha saputo più nulla del bambino nato da quell’amore, che le era stato strappato a forza subito dopo la nascita.

L’attesa sembra finalmente terminata: nel parlatorio del monastero Angelica è attesa a colloquio dalla zia principessa. Ma la vecchia signora, algida e distante, non è venuta a concederle il sospirato perdono, bensì a chiederle un formale atto di rinuncia alla sua quota del patrimonio familiare, allo scopo di costituire la dote per la sorella minore Anna Viola, prossima ad essere sposa. Il ricordo di eventi lontani eppure mai cancellati dalla memoria e la possibilità di avvicinare una persona di famiglia spingono Angelica a chiedere con insistenza notizie del bambino.

Ma con implacabile freddezza la zia le annuncia che da oltre due anni il piccolo è morto, consumato da una grave malattia. Allo strazio della madre, caduta di schianto a terra, la vecchia non sa porgere altro conforto che una muta preghiera. Il pianto di Angelica continua, soffocato e straziante, anche dopo che la zia, ottenuta la firma, si allontana. Nel suo animo si fa strada l’idea folle e disperata di raggiungere il bambino nella morte per unirsi a lui per sempre. È scesa intanto la notte e Suor Angelica, non vista, si reca nell’orto del monastero: raccoglie alcune erbe velenose e con esse prepara una bevanda mortale.

D’improvviso, dopo aver bevuto pochi sorsi del distillato, Angelica è assalita da un angoscioso terrore: conscia di essere caduta in peccato mortale, si rivolge alla Vergine chiedendole un segno di grazia. E avviene il miracolo: la Madonna appare sulla soglia della chiesetta e, con gesto materno, sospinge il bambino fra le braccia protese della morente.

il trittico

“Suor Angelica” foto Werner Kmetitsch

Gianni Schicci
Opera in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano
ispirato a un episodio del canto XXX
della Commedia di Dante Alighieri

Gianni Schicchi, famoso in tutta Firenze per il suo spirito acuto e perspicace, viene chiamato in gran fretta dai parenti di Buoso Donati, un ricco mercante appena spirato, perché escogiti un mezzo ingegnoso per salvarli da un’incresciosa situazione: il loro congiunto ha infatti lasciato in eredità i pro­pri beni al vicino convento di frati, senza disporre nulla in favore dei suoi parenti.

Inizialmente Schicchi rifiuta di aiutarli a causa dell’atteggiamento sprezzante che la famiglia Donati, dell’aristocrazia fiorentina, mostra verso di lui, uomo della «gente nova». Ma le preghiere della figlia Lauretta (romanza «O mio babbino caro»), innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Buoso Donati, lo spingono a tornare sui suoi passi e a escogitare un piano, che si tramuterà successivamente in beffa. Dato che nessuno è ancora a conoscenza della dipartita, ordina che il cadavere di Buoso venga trasportato nella stanza attigua in modo da potersi lui stesso infilare sotto le coltri, e dal letto del defunto, contraffacendone la voce, dettare al notaio le ultime volontà.

Così infatti avviene, non senza che Schicchi abbia preventivamente assicurato i parenti circa l’intenzione di rispettare i desideri di ciascuno, tenendo comunque a ricordare il rigore della legge, che condanna all’esilio e al taglio della mano non solo chi si sostituisce ad altri in testamenti e lasciti, ma anche i suoi complici («Addio Firenze, addio cielo divino»).

Schicchi declina dinanzi al notaio le ultime volontà e quando dichiara di lasciare i beni più preziosi – la «migliore mula di Toscana», l’ambita casa di Firenze e i mulini di Signa – al suo «caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi», i parenti esplodono in urla furibonde. Ma il finto Buoso li mette a tacere canterellando il motivo dell’esilio e infine li caccia dalla casa, divenuta di sua esclusiva proprietà.

Fuori, sul balcone, Lauretta e Rinuccio si abbracciano teneramente; mentre Gianni Schicchi sorridendo contempla la loro felicità, compiaciuto della propria astuzia.

il trittico

“Gianni Schicchi” foto Werner Kmetitsch